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La Stanza

Quando mi sono diplomata all’Accademia di Belle Arti di Amsterdam, il lavoro che ho presentato all’esposizione finale ha avuto, con mia sorpresa, un grandissimo successo di pubblico e di critica.

In una delle sale espositive che ospitava la mostra, ho messo una grande costruzione di legno, un parallelepipedo rettangolare di circa 4m x 3m e 2m di altezza. L’opera era costruita con pareti di legno riciclato, un legno molto intenso e vissuto e pieno di graffiti e sfumature colorate. Trovandola così in mezzo alla sala e guardandola si aveva la sensazione che fosse semplicemente una grande scultura di “arte contemporanea”.

…poi in realtà, girando intorno alla costruzione e osservando più attentamente, si poteva scoprire che c’era in realtà un’apertura in uno dei lati, in una delle pareti, infatti, una piccola parte non era di legno ma di un materiale morbido in cui si poteva intravedere un taglio…e così…solo i più curiosi riuscivano a entrare infilandosi in questa morbida apertura.

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Una volta entrati (si poteva entrare solo uno alla volta – c’era un custode nella sala che controllava il flusso di entrata) lo spettatore poteva notare subito davanti a sé la possibilità della porta di uscita (per me questo è stato sempre molto importante in ognuno dei progetti artistici cioè che il pubblico potesse vivere l’esperienza in modo assolutamente libero quindi potendo terminare l’esperienza in qualsiasi momento).

Appena entrato e abituando gli occhi alla luce soffusa nella stanza lo spettatore trovava davanti a se cinque persone sedute dietro ad un tavolo, tutte vestite con una camicia bianca, che semplicemente lo guardavano.

Avevo lavorato mesi primi preparando il lavoro con vari performers/attori e con degli operatori del metodo Alexander. Persone quindi che sapevano in qualche modo come mantenere uno spazio ‘vuoto’ all’interno e quindi erano lì solamente per fare da specchio al visitatore.

Non parlavano, non facevano nulla, guardavano solamente la persona che entrava seguendola con gli occhi nei suoi movimenti.

Il risultato ha superato qualsiasi aspettativa sia per la qualità e la profondità delle interazioni sia per l’abbondanza della diversità di risposta di ogni partecipante. Durante i giorni dell’esposizione sono entrate centinaia di persone nella stanza ed ognuna ha avuto una reazione completamente differente e completamente imprevedibile sia per se stessa che per i performers.

C’è stato chi ha colto l’occasione per raccontare dei segreti, chi ha pianto, chi ha riso a crepapelle, chi ha sfogato la rabbia verso gli esami e la scuola, chi ha creduto che gli attori fossero delle statue e si è avvicinato per toccarle, chi è tornato per portargli delle birre, chi ha cantato davanti a loro, chi si è infuriato uscendo perché aveva toccato un punto di estrema tristezza e poi era stato lasciato solo, chi usciva con lacrime di gioia per tutto l’amore che aveva raccolto da quell’incontro con degli sconosciuti.

In breve ogni interazione è stata unica e irripetibile, una totale sorpresa nel momento. Dopo il primo giorno l’opera ebbe una tale risonanza che la televisione olandese mi chiese di poter mettere una telecamera all’interno della stanza ma io rifiutai. Era per me fondamentale custodire l’estrema intimità dell’esperienza che era vissuta all’interno.

So tutto ciò che è accaduto all’interno della stanza solo dal racconto dei vari performers e dai partecipanti stessi. Documentare tutte le incredibili interazioni e risposte del pubblico e tutte le cose più inaspettate che sono accadute è impossibile, era stato redatto un libro pieno di toccanti testimonianze a questo proposito.

Posso solo riportare che anche chi già conosceva “cosa l’aspettava dentro” e decideva di rientrare una seconda volta con l’attitudine di: “ora non mi fregate più”, non riusciva in realtà controllare nulla di cosa realmente avrebbe sentito in quella situazione e di come avrebbe risposto nel nuovo momento.

Completo spazio all’Incontro.

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